BOW WINDOW, romanzo a puntate, sul mio blog
Il cielo a New York è più alto
È così lontano che non gli arrivano gli occhi da terra. Chissà cosa pensano i piantatori di grattacieli, che non hanno mai un muro che li separi dal vuoto, chissà cos’hanno nelle vertigini e cosa vedono davanti a loro, quando stanno fermi come fossero alla finestra. Qualcuno pensa di poter arrivare a un passo da Dio. Qualcun altro tenta di svanire attorno agli spuntoni. Tutti sembrano assorbiti dall’azzurro.
Le nuvole, come un giro di cigni attorno alle punte massime, quella mattina caddero nella verticalità del mondo basso.
«È surreale tutto ciò».
Nell’ufficio di Vanille Blanchard si erano condensate tutte le nebule possibili. L’aria non aveva più spazio, si schiacciava contro il bow window. I margini, le giustificazioni, persino le prospettive e le geometrie sembravano bizzarrie di movimenti illusori. Tutto era agitato, confuso. Deformato. Surreale.
«È assurdo che Archibald Brown abbia cancellato Mr. Jay: il personaggio chiave del suo romanzo. Eliminarlo a vantaggio di quel rammollito di Cunanan? È un intellettuale del nulla quel Cunanan. Il Mr. Jay che gli avevo costruito era un tenebroso, sì, ma col cervello. Gentile, fascinoso. Le lettrici sarebbero impazzite per uno così: un circuito di neuroni e poesia in un deserto letterario, e lui lo ha fatto ritirare come un vecchio pensionato».
Brown non era stato un granché gentile con Vanille. Aveva tenuto la voce fredda. Chissà quante volte aveva cercato l’intonazione davanti allo specchio, prima di essere certo che fosse quella giusta. Non aveva concesso a Vanille alcuna replica, l’aveva ferita con un taglio sicuro.
«Andiamo Vanille! Quel Jay non si sarebbe mai riscattato. Non mi dica che lei è una sognatrice senza scampo e che non ci capisce nulla dell’universo maschile».
“Ne so abbastanza, per capire che non bisogna fidarsi” avrebbe voluto rispondergli, ma Brown e Mr. Jay non c’entravano nulla con la sua storia con Florent, un ex fidanzato, che l’aveva lasciata inaspettatamente, qualche mese prima, con una metafora sulle castagne.
Florent si era comportato male e si girava e rigirava, nella loro storia, come stesse bruciando su una ristirala[1].
In realtà stava solo costruendo l’addio. Non aveva nemmeno avuto il coraggio di abbandonarla davanti a una tazza di caffè con una distesa di lavanda come fondale. Scena perfetta per gli addi, non fosse altro per il significato indefinibile della lavanda.
«Sono via per lavoro», le aveva detto, invece era tra crini e criniere sulle rive rive spumose della Camargue.
La lasciò al telefono, appesa a un arioso tradimento.
«Ci sono castagne matte e castagne buone: le matte sono belle, tonde e sode, ma sono inganni, amari, buoni per le tarme. Le altre invece sono meno belle ma si possono mangiare e non fanno venire il mal di pancia. Io credo che la nostra storia ci faccia male, ci dia la nausea, credo che sia un “ippoamore”» le disse senza aspettare replica prima di chiudere la telefonata.
Vanille prese allora la decisione di lasciare la Provenza per tentare una nuova vita a New York, e portarsi il più lontano dalla malinconia.
Non replicò nulla a Brown, dopo l’infelice battuta, convinta com’era che il tempo le avrebbe dato ragione.
Si mise seduta sulla panchina sotto il bow window. In quell’arco finestrato si sentiva immune dal dolore, avvolta dalle buone intenzioni, dai buoni sentimenti, come quando era a casa sua, a Valensole, dove vivevano ancora i suoi genitori.
“Non è tempo di pensare all’amore” si disse. “Mi fidanzerò un giorno con un qualsiasi personaggio inventato da me, così almeno mi capirà, lo capirò, ci capiremo, ci semplificheremo la vita a vicenda”.
Il buio a New York è più alto
È così lontano, che non gli arriva la paura da terra. I piantatori di grattacieli scendono tutti quanti da una riga di indefinito. Qualcuno tiene stretto nel pugno una foto di famiglia in posa e un’idea di salvezza.
[1] Padella per le castagne