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Consumati dai consumi

Siamo consumati dai consumi. Ci trasciniamo in un camminamento, in un passaggio inesorabile verso quel consummatum est, quel Tetelestai risolutivo pronunciato dal Cristo sulla Croce: in quel tutto irreversibilmente compiuto.

Tetelestai, nella sua radice etimologica, indica un’azione (passata) che ha effetti o risultati che si perpetuano

Ci trasciniamo così nel vivere, sotto gli effetti dannosi di scelte passate. La sofferenza, che spesso avvertiamo, nasce da un’incantazione dei consumi che ha condizionato l’esistere. Avendo definitivamente smarrito il senso assoluto dell’amore divino, ci siamo lasciati svilire da un meccanismo paganeggiante e materialista, consumistica. Consumante.

Ci siamo incatenati ai consumi e, sedotti e frastornati in un abbaglio, non ci siamo accorti della deriva: abbiamo prodotto un’umanità commerciabile, trattabile. Sacrificabile.

Ci stiamo letteralmente consumando. Per il bisogno di consumare, viviamo in un’urgenza fasulla

Guy Debord (1931-1994), come un profeta laico, un visionario, anticipò quello che sarebbe successo. Con il breve saggio La società dello spettacolo denunciò il pericolo di vivere dentro una visione falsata della realtà. Capì lo sconfinamento del consumismo: i lavoratori si sarebbero trasformati in accaniti consumatori di “spettacoli” (mossi dal capitale).

Lo spettacolo di cui parla Debord “non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediato dalle immagini”, una messa in scena ad arte, in nome dei consumi. Oggi, più che mai, viviamo in una realtà irreversibile, condizionata dalle immagini. Con l’avvento dei social (Instagram, su tutti) lo “spettacolo” si è enfatizzato, amplificato, esasperato. Tik Tok ha persino accelerato il processo.

“Lo spettacolo dei consumi non vuole giungere a nient’altro che a se stesso”

La brama del possedere è diventata un male diffuso, comune.

Quante volte ci siamo esaltati per l’immagine di un prodotto che ci ha fatto bramare, desiderare di averlo e ci ha fatto dire:”Lo voglio!”. E quante volte, nel momento stesso dell’entrata in possesso, quello stesso prodotto ci è sembrato deludente, non ci ha soddisfatti, e abbiamo sentito la necessità di cercare altro.

Questo perché, dietro quel desiderio, c’era un falso bisogno, un bisogno indotto dalla società persuasiva.

Lo spettatore più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio

Un bisogno fittizio non ci appaga perché non ci corrisponde. Assecondandolo disconosciamo il nostro reale desiderio e ci allontaniamo persino da noi stessi.

È proprio questa la contraddizione del sistema consumistico, denunciata da Debord: genera una piatta soddisfazione e una reale frustrazione.

Lo spettacolo dei consumi è il brutto sogno della società moderna incatenata che, in fin dei conti, non esprime altro che il desiderio di dormire. Lo spettacolo è il custode di questo sonno

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Debord non ne fa una questione morale, il suo non è un invito alla scoperta di quegli antichi valori, ad esempio la parsimonia, Debord denuncia il capovolgimento del reale: la realtà è invasa dalla contemplazione dello spettacolo.

Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso

In questo sistema illusorio i lavoratori assurgono al ruolo di consumatori e passano il proprio tempo libero a stordirsi davanti agli spettacoli del capitalismo, restano in balia della competizione tra le merci, in un sistema che genera indolenza. L’uomo diventa uno strumento per la valorizzazione della merce.

Perde di vista l’obiettività, vive in una costante sospensione dell’incredulità e, come fa il lettore con il romanziere, prende per buono tutto quello gli viene proposto.

Di più, Debord è convinto che questo sistema competitivo sia presente in altri aspetti della vita sociale.

La politica, ad esempio, non è forse una competizione tra leader che vendono la propria immagine, e incantano con promesse che non manterranno?

Nelle menti, strette in questo sistema, si spaziano l’apatia, l’assenza di criticità. Ci si abitua a pensare in modo passivo, a idealizzare e a credere all’incredibile, all’inverosimile

E “la saggezza non arriverà mai”.

Il rischio è che Debord sia stato profetico anche in questo. Lo spettacolo è la vita degradata a universo speculativo, è la summa della debolezza del progetto filosofico occidentale e di un sistema economico che, attraverso i beni di consumo, porta all’isolamento di “folle solitarie”.

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